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Telecamera di videosorveglianza puntata sulla strada che riprende i vicini. Non integra la

Data : 31 / 05 / 2019


La vicenda. Nel caso in esame alcuni proprietari di immobili erano stati citati in giudizio quali colpevoli del reato di violenza privata consistita nell'installare, sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni, alcune telecamere per ripresa visiva e sonora, rientrate su zone e aree aperte al pubblico transito, costringendo gli abitanti della zona a tollerare di essere costantemente osservati.

Il giudice di primo grado condannava i due imputati alla pena di un anno di reclusione ciascuno. In secondo grado, la Corte territoriale rideterminava la pena in sei mesi di reclusione.

Avverso tale pronuncia, i ricorrenti hanno proposto ricorso in cassazione eccependo che le telecamere erano finalizzate solo alla tutela della propria sicurezza.

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Il ragionamento della Corte di Cassazione. Preliminarmente, i giudici hanno osservato che nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo, e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge, e, per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa.

In altri termini, come osservato anche dalla dottrina, è troppo restrittiva, ai fini che ci occupano, la definizione di libertà morale come libertà di autodeterminazione, perché essa identifica solo un aspetto della libertà morale e non consente di includervi gli altri aspetti tutelati sotto tale oggettività giuridica, dalla libertà di autodeterminazione secondo motivi propri, fino alla tranquillità psichica.

Detto ciò, i giudici della corte di Cassazione hanno contestato il ragionamento espresso dai giudici di merito; invero, alla luce dei principi espressi in materia, si trattava, dunque, di valutare se, nel caso peculiare in esame, la condotta dei ricorrenti fosse configurabile come violenza privata, ovvero se - sotto il profilo oggettivo e causale - essa poteva essere considerata idonea a indurre la descritta coartazione negli abitanti della zona, e, specificamente, nelle parti civili, che, secondo l'editto accusatorio, sarebbero stati così costretti a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti.

Per meglio dire,la condotta contestata non riguardava I' acquisizione di immagini relative alla condotta tenuta da cittadini sulla pubblica via, ma il condizionamento esercitato su alcune persone dagli imputati, mediante la istallazione e l'utilizzo di immagini tratte dai filmati registrati dalle telecamere.

Difatti, detti controlli erano utilizzati per rimarcare la commissione di presunti illeciti (schiamazzi, parcheggio delle auto fuori dalle aree di sosta consentite; deiezioni animali abbandonante dinanzi al cancello delle abitazioni, e così via), che sarebbero stati perseguiti medianti esposti e denunce poi effettivamente inoltrati alle autorità competenti.

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In conclusione, secondo la Cassazione, l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita; inoltre, neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti, l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 c.p.., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione.

Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato accolto; per l'effetto, la sentenza di condanna è stata annullata.