
La delibera che approva una spesa ed il relativo piano di riparto, cioè la sua ripartizione tra i condòmini, sono documenti importanti ed aventi rilevate valore giuridico.
Tale importanza riguarda non solamente l'operato dell'amministratore, che a quella decisone dovrà dare esecuzione, ma anche il recupero del credito, in quanto sulla decisione assembleare così individuata si può fondare la richiesta di ricorso per decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.
È noto quanto scarne siano le disposizioni legislative in materia di ripartizione delle spese. Tale carenza è causa di grandi incertezze.
Autorevole dottrina s'è spinta oltre affermando che «il problema della ripartizione delle spese è quello che, in Italia, ha portato una completa disarmonia nell'istituto condominiale» (così Terzago, Il condominio, Giuffrè, 1985).
Errare nella scelta di un criterio di ripartizione delle spese è cosa normale; tant'è che secondo la Cassazione, chiamata pronunciarsi sull'argomento anche a Sezioni Unite (sent. 8 marzo 2005 n. 4806), tale errore va annoverato tra i vizi formali delle delibere, comportandone l'annullabilità e non la nullità.
La gestione delle spese condominiali
Cosa diversa, dissero allora i Supremi Giudici, è l'applicazione volontaria di un criterio differente ovvero il ricorso ad un criterio creato ad hoc.
In tale ultima ipotesi la delibera va considerata nulla, cioè impugnabile anche a distanza di molto tempo dalla sua adozione.
=> Sono nulle le delibere di ripartizione spese adottate in violazione del regolamento condominiale
In questo quadro d'apparente chiarezza s'inserisce una decisione resa dalla Corte di Cassazione sul finire del 2018, la n. 33039 del 20 dicembre, che desta particolari perplessità.
Quali?
Secondo gli ermellini, le delibere adottate in violazione dei criteri legali o convenzionali di ripartizione delle spese sono insanabilmente nulle, con ciò che ne consegue in termini i tempistica dell'impugnazione.
Se a questa conclusione se ne aggiunge un'altra che ormai è data per assodata, almeno recentemente, in campo condominiale, ovverossia che la nullità di una deliberazione condominiale può essere fatta valere anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, allora se ne dedurrà che il combinato disposto di queste due conclusioni ha un potenziale effetto deflagrante non trascurabile.
Qui non s'ha la pretesa di censurare la conclusione cui è giunta la Suprema Corte con l'ordinanza n. 33039, ma si ritiene di poter quanto meno sollevare qualche perplessità. Vediamo perché.
Ripartizione spese condominiali e ordinanza n. 33039 del 2018
Il caso risolto dalla Cassazione con il provvedimento citato aveva in realtà un oggetto che ben poteva essere relegato ad un caso particolare, invece i giudici hanno finito per dargli una valenza generale ricomprendendolo in una casistica più ampia (e, secondo lo scrivente, differente).
In breve: un condominio otteneva un decreto ingiuntivo contro un condòmino che proponeva opposizione all'atto. In sede di opposizione il decreto veniva revocato e la sentenza d'appello confermava l'esito.
Motivo?
La delibera di approvazione della spesa e del riparto sulla quale si fondava il decreto ingiuntivo era nulla in quanto attribuiva al condòmino opponente delle quote millesimali che non gli appartenevano.
Quelle quote erano riferibili ad un appartamento in proprietà alla moglie del condòmino e, si diceva nei giudizi di merito e s'è confermato in Cassazione, ai rapporti condominiali non si applica il principio dell'apparenza.
Conclusione: si Tizio detiene una quota di 50/1000 e Caia, per un altro appartamento di sua esclusiva proprietà, una quota di 40/1000, non si può inserire in rendiconto il solo Tizio attribuendogli una quota di 90/1000.
Questa decisione, dicono i giudici di Cassazione, è in contrasto con la ratio ispiratrice delle norme condominiali, in ragione delle quali ogni condòmino è tenuto a contribuire solamente in relazione alla propria quota.
Conseguentemente concludono i giudici «una ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni che, [...], attribuisca un obbligo di contribuzione a persona diversa dal titolare della rispettiva quota di proprietà esclusiva, va certamente ritenuta nulla» (Cass. 20 dicembre 2018 n. 33039).
Ripartizione spese condominiali tra nullità e annullabilità
Fin qui, a parere dello scrivente, nessun motivo di dubbio: se Tizio ha una quota di riferimento, attribuirgliene una maggiore vuol dire modificare la misura di partecipazione alle spese e ciò non rientra nei poteri dell'assemblea.
=> Delibere condominiali nulle e annullabili
La Corte, però, si spinge oltre e afferma che tale fattispecie rientra nella più generale affermazione di principio secondo la quale vanno considerate nulle e perciò impugnabili in ogni tempo «tutte le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale (Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651; Cass. Sez. 6 - 2, 09/03/2017, n. 6128)» (Cass. 20 dicembre 2018 n. 33039).
A leggere i provvedimenti citati nell'ordinanza si può comprendere come la nettezza dell'affermazione della nullità di «tutte le deliberazioni adottate dall'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese …» debba considerarsi eccessivamente generica e fuorviante.
Nella sentenza n. 19651 e nell'ordinanza n. 6128 oggetto del contendere erano decisioni assembleari con le quali s'era derogato ai criteri legali di riparto delle spese del riscaldamento.
Come nel caso risolto dall'ordinanza n. 33039 si erano di fatto modificati a maggioranza i valori millesimali, senza che tale modificazione trovasse giustificazione in fatti obiettivi (attribuzione della quota di una condòmina al marito per errato convincimento che questo fosse il proprietario, convincimento inescusabile data l'inapplicabilità del principio dell'apparenza all'ambito condominiale).
Modificare un dato esistente (un criterio, una quota millesimale), però è cosa differente dall'errare nell'applicazione di un criterio.
Sul punto non ci pare che si possa mettere in dubbio l'approdo cui arrivarono le Sezioni Unite nel 2005 (sent. n. 4806). Allora gli ermellini ebbero modo di affermare che un conto è che l'assemblea deroghi ai criteri di ripartizione, altro sbagliare nell'applicarli.
Nel primo caso le decisioni assembleari sono nulle in quanto incidono sui diritti individuali del singolo condomino: Si stabilisce che Tizio ha 90/1000 e non 50/1000, si stabilisce che per il compenso dell'amministratore il costo va ripartito in misura paritaria tra i condòmini (senza che tale criterio esista nel regolamento contrattuale, non esistendo nel codice).
Nella seconda circostanza, le deliberazioni assembleari vanno considerate annullabili perché l'assise incappa in un errore formale, ad esempio applicando la tabella di proprietà e non quella ex art. 1124 c.c., ma con ciò non incide sui diritti di un condòmino.
Ecco, a modestissimo avviso dello scrivente, s'è fatto richiamo di principi troppo generici decontestualizzandoli, cosìrischiando di ingenerare incertezza e confusione nella concreta applicazione di consolidati e non controversi principi.
D'altronde non è differente l'errore di omessa convocazione dalla decisione dell'assemblea di escludere, per una o più assemblee un dato condòmino dai destinatari dell'avviso di convocazione?
Ripartizione spese condominiali e ricorso per decreto ingiuntivo
A chi pare che si tratti di sottigliezze giuridiche, magari non sfuggiranno le differenze in termini concreti; differenze significative.
Ipotizziamo che un condominio chieda ed ottenga decreto ingiuntivo contro un condòmino e che questi proponga opposizione. S'ipotizzi che la delibera sulla quale è fondato il decreto sia stata assunta nel 2017 e che il decreto si stato richiesto un anno e mezzo dopo a fine 2018.
Si supponga che quell'assemblea aveva ripartito, errando (magari per originario errore dell'ufficio dell'amministratore) dei costi di manutenzione dell'ascensore utilizzando la tabelle di proprietà e non quella di cui all'art. 1124 c.c.
S'ipotizzi ancora che fino alla opposizione al decreto il condòmino ingiunto e nessun alto abbia contestato con impugnazione quella decisione.
Stando alla generica (e per chi scrive errata, s'è detto perché) conclusione secondo la quale sono nulle «tutte le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese», quel condòmino avrebbe diritto di ottenere la revoca del decreto per assenza del presupposto per la sua emissione: una delibera nulla non esiste e la nullità delle delibere condominiali può essere fatta valere in qualunque tempo, anche in via d'eccezione e senza necessità d'apposita impugnazione.
Diverso il caso in cui l'assemblea abbia volontariamente scelto di applicare la tabella di proprietà piuttosto che quella contenente i criteri di cui all'art. 1124 c.c. In tal caso non si tratterebbe d'errore, ma di deroga che necessita (art. 1123, primo comma, c.c.) del consenso di tutti i condòmini.
Non sfugge che il contenuto del verbale è dirimente per distinguere una scelta errata da una volontariamente derogatoria. La classica valutazione da farsi caso per caso.
L'auspicio è che nelle prossime pronunce la Corte di Cassazione chiarisca quanto statuito riportando il tutto nell'alveo della ragionevole conclusione cui giunsero le Sezioni Unite nel 2005. Non v'è bisogno, in una materia così delicata, d'un contrato interpretativo, nemmeno apparente.
Fonte: https://www.condominioweb.com/nullita-della-delibere-e-ricorso-decreto-ingiuntivo.15695